Alla fine è arrivata. L’11 marzo 2020 l’Organizzazione Mondiale della Sanità l’ha definita pandemia, cioè una epidemia con tendenza a diffondersi rapidamente attraverso vastissimi territori o continenti.
Al di là dei giudizi sulle scelte operate dal governo di questo o di altri Stati successivamente all’emergere del COVID – 19, ci interessa accendere i riflettori sui motivi per cui siamo attualmente costretti a rimanere chiusi in casa, in Italia e nelle province che la compongono.
Se siamo chiusi in casa la ragione principale è la certezza di un collasso del Sistema Sanitario Nazionale in caso di diffusione del contagio senza freni. La carenza dei nostri posti letto in terapia intensiva può essere ben rappresentata dal confronto con un altro Paese dell’UE, la Germania: quest’ultima ha 29 posti letto di terapia intensiva ogni centomila abitanti, il triplo rispetto a quelli dell’Italia (Fonte: https://www.agi.it/fact-checking/news/2020-03-06/coronavirus-posti-letto-ospedali-7343251/). Viene da chiedersi il perché di questa differenza, o se vogliamo dirla tutta, il perché di questa arretratezza.
Grafico 1 – Posti letto nei reparti di terapia intensiva in Italia per ogni 100mila abitanti
Ebbene, osservando i dati riportati dal rapporto Gimbe 2019 (4° Rapporto sulla sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale – SSN) possiamo renderci conto di come, tra il 2010 e il 2019, siano stati tagliati 37 miliardi di Euro al Sistema Sanitario Nazionale. E’ facilmente intuibile l’entità del danno, basti considerare indicativamente che la spesa annuale del 2016 si è aggirata intorno ai 140 miliardi di Euro. Qualcuno pensava davvero che tagliando ¼ del finanziamento al SSN in 10 anni sarebbe stato possibile essere pronti ad una epidemia globale? Era sicuramente impossibile prevedere il “quando” e il “come” si sarebbe manifestata, ma era altrettanto certo che ciò sarebbe prima o poi avvenuto.
Andiamo avanti e osserviamo un altro aspetto di questa preparazione alla crisi.
Per fronteggiare un’emergenza sanitaria c’è bisogno di disporre di sufficiente personale specializzato. In Italia i fondi destinati all’istruzione e alla ricerca sono stati saccheggiati per far fronte ad altre spese pubbliche, ne conosciamo molte di quelle inutili, dannose e illegittime, ad esempio il Gasdotto Snam sulla dorsale sismica appenninica e gli interessi sul debito pubblico. Insomma, più sono passati gli anni e più siamo diventati leader in Europa nel disinvestimento da questi settori strategici per l’interesse pubblico: siamo ultimi nella percentuale di spesa pubblica destinata a istruzione e ricerca, l’Italia si attesta al 7,9% a fronte di una media UE del 10% (Relazione di monitoraggio del settore dell’istruzione e della formazione 2019). Di conseguenza a farne le spese è stato anche il Servizio Sanitario Nazionale. L’introduzione del numero chiuso come sistema di selezione per l’accesso agli studi universitari in ambito medico ha, di fatto, creato una voragine impossibile da colmare in piena emergenza: per renderci bene conto di quanti aspiranti medici abbiamo rimbalzato negli anni, riportiamo a titolo esemplificativo i numeri dei test d’ingresso del 2019: 68mila giovani per 12mila posti (https://tg24.sky.it/cronaca/2019/09/03/test-facolta-numero-chiuso.html).
Se poi ci servisse un ulteriore dimostrazione, per capire che un sistema economico basato solo sul profitto di pochi e non sull’interesse pubblico prima o poi arriva a mettere in discussione le sue stesse regole fondamentali, basti ripresentare il caso a noi molto vicino del Mario Negri Sud. Questo ente di ricerca situato a Santa Maria Imbaro, con una storia di 30 anni di attività proprio nel settore biomedico, è stato capace di vantare pubblicazioni di interesse mondiale e di essere un punto di riferimento per il nostro territorio. La sua fine nel 2015 è emblematica. Le istituzioni pubbliche non sono intervenute per sostenere l’ente ma per affossarlo, i soldi pubblici fin allora investiti e le competenze di dipendenti e ricercatori che vi lavoravano sono state sprecate, così facendo è stata chiusa la struttura e sono state arrestate le sue attività.
In conclusione c’è una cosa che chi rimarrà dovrebbe aver imparato da questo collasso, preparato minuziosamente seguendo un’ideologia miope definita neoliberismo: se vogliamo costruire una società in cui la vita abbia valore, allora alla vita non deve essere assegnato un prezzo.